SUL MARCHIO BIOLOGICO ITALIANO

SUL MARCHIO BIOLOGICO ITALIANO

SUL MARCHIO BIOLOGICO ITALIANO ( e dintorni)

Il 23 settembre con grande enfasi nella “Giornata europea del Biologico” nei palazzi del MASAF è stato lanciato, come  d’altra parte previsto nella Legge 22 del marzo 2023, il marchio bio nazionale ,anche se ancora senza un logo ufficiale.

Il Ministro della Agricoltura e della Sovranità alimentare e delle Foreste ha , nell’occasione ,così dichiarato ; “Il marchio biologico italiano sarà un segno distintivo di qualità e sicurezza, a tutela delle eccellenze agroalimentari italiane e delle persone che sceglieranno di acquistare quel prodotto. La sfida dei prossimi anni sarà quella di garantire il giusto reddito agli agricoltori, contrastare la concorrenza sleale dei paesi terzi, rendere i prodotti bio più accessibili a tutti e aumentare il consumo interno”.

Per capire come mai ci permettiamo di dubitare o almeno mettere in discussione quanto con grande enfasi il ministro ha dichiarato bisogna però fare un piccolo passo indietro fino al 22 agosto di quest’anno.

In quella data infatti è stato pubblicato il DM 24.07.2025 che è entrato in vigore il giorno successivo ,con il quale il MASAF intende garantire il rafforzamento in termini di provenienza, qualità e tracciabilità dei prodotti biologic(con l’obiettivo di orientare i cittadini verso scelte di consumo consapevole) attraverso una struttura digitale pubblica chiamata BIO TRAC.
Il DM deriva da quanto già previsto nella Legge n. 23 del 9.03.2022 all’art. 7 comma 2 lettera l) e nel D. lgs. n. 148 del 06.10.2023 all’art. 21 che sostanziano quanto previsto nell’azione 3.1 del Piano d’azione nazionale 2024-26 per il biologico, ovvero prevedere specifiche operative di tracciabilità con particolare riguardo al marchio biologico italiano e ai distretti biologici (in crescita esponenziale e attualmente al ministero sono in corso ancora decine di conferimenti e richieste).

Il DM, nei “considerando”, ritiene necessario individuare gli obblighi di fornitura delle informazioni circa la provenienza, la qualità e la tracciabilità dei prodotti biologici e le categorie di operatori che devono attenersi a tale obbligo nonché le soglie e gli altri parametri tecnico-economici per l’individuazione degli elementi da riportare nell’etichettatura.

La realizzazione fisica dell’infrastruttura è previsto si materializzi entro 180 giorni dall’entrata in vigore, ma nell’articolato già si prevede che nella prima fase, non ancora temporalmente definita, vi accedano gli operatori aderenti ai distretti biologici. Da qui tutta una serie di procedure a cui l’operatore deve attenersi. ( vedi nota 1)

Come è evidente I contenuti del DM comportano soprattutto oneri che il settore dovrà sostenere a breve  per l’inserimento in una banca dati delle informazioni che caratterizzano ogni singola transazione commerciale lungo filiere che spesso sono lunghe e le transazioni molteplici prima di giungere al consumatore. A chi giova tutto ciò? Sicuramente non ai produttori che vedono aumentare i costi di transazione commerciale senza avere l’opportunità di ribaltare parte di questi costi sul mercato in cui i prezzi sono diminuiti per mantenere il livello dei volumi e in questo ultimo triennio l’inflazione ha eroso buona parte della redditività. Non certo i consumatori, considerato che l’indicazione d’origine è un obbligo comunitario e che l’origine “Italia” può essere inserita per i prodotti i cui ingredienti di origine agricola provengono tutti dal nostro Paese. Non giova neppure al sistema produttivo nel suo complesso, a quello che nel bio potremmo definire Sistema-Paese, perché l’introduzione di ulteriori balzelli e vincoli burocratici aumentano i costi nel loro complesso e fanno perdere competitività nel panorama internazionale.

Invece di ridurre gli oneri e gli orpelli burocratici, così come in più occasioni governo ed associazioni hanno richiesto all’UE, sul piano nazionale si introducono barriere e costi inutili che nulla apportano in termini di valore aggiunto. Pensiamo ad un’azienda agricola o a un piccolo trasformatore, aderente ad un distretto biologico come inizialmente prevede il DM, che ad ogni transazione deve imputare in un sistema informatico una serie di dati; quasi certamente dovrà pagare un soggetto terzo che svolgerà questo tipo di attività, ma chi paga questa attività? Sicuramente non il mercato che oggi non è nelle condizioni di farlo, vi dovrà provvedere il produttore finché resisterà. Se tutto questo lo proiettiamo su migliaia di operatori e su un mercato molto più vasto la situazione rischia di diventare economicamente insostenibile e invece di recuperare produttività ed efficienza si ottiene esattamente il contrario.

Ci si chiede ora quindi quale è il giustificativo  di un DM collegato al marchio bio nazionale e alla banca dati transazioni di cui D.lgs 14372023 Art21 comma 1, quando l’origine, come abbiamo sopra scritto è già garantita sul piano della normativa comunitaria?

La risposta è solo una : Il marchio bio nazionale si collega di fatto e in definitiva ad un ulteriore balzello perché se vuoi la bandierina sul tuo prodotto devi avere anche il codice univoco del BIO Trac

Ma che senso ha tutto questo quando già i nostri prodotti raggiungono già i mercati esteri per oltre il 50% della produzione proprio perché soddisfano le richieste dei più svariati mercati e fra le principali motivazioni anche perché sono italiani. (nota 2)

In contemporanea  il giorno prima si apre l’avvio del Piano  Nazionale Sementi Biologiche delegato e attuato dal CREA  .

“L’Italia si conferma tra i leader europei del biologico, sia per superficie coltivata che per numero di operatori ( Qui sono stati anche presentati in pre-esclusiva i dati ISMEA che poi troveremo nella pubblicazione “BIO in cifre” 2025) .

 Eppure, la disponibilità di sementi bio certificate non tiene il passo con l’espansione delle superfici, penalizzando le aziende agricole che vorrebbero convertirsi al biologico, ma trovano poca disponibilità varietale. A questo si aggiunge l’uso sistematico di deroghe ( va rilevato ad onor del vero che tutto ciò non è colpa del produttore in quanto gli schemi varietali sono decisamente limitati, difficili da ritrovare poi nei sementifici  bio che hanno spesso quantità ridotte e costringono il produttore ad andare in deroga…  )per sementi non biologiche, spesso ormai una prassi consolidata, non più legata a situazioni di reale emergenza (come prima si dice che non bastano a causa dell’espansione di superfici?!?), a scapito di chi produce sementi biologiche.

Proprio per rispondere alle criticità strutturali del settore in modo sistemico e con un’unica cabina di regia nazionale, nasce il Piano Nazionale Sementi Biologiche

(PNSB), finalizzato a promuovere una filiera sementiera nazionale più autonoma, strutturata e autosufficiente, in grado di supportare il comparto.”

Un progetto triennale che speriamo coinvolga pure chi la terra la lavora e ci vive , dato che per ora si parla solo degli otto centri di ricerca del CREA.(nota 3) e non si traduca nell’ennesima svendita di un patrimonio come ben ricordiamo  nel caso del Senatore Cappelli.

L’operazione in atto ,considerato che questo governo è tutt’altro che Green ( se mai  di washing visto anche le dichiarazioni palesi del nostro governo all’ONU) si presta ad dover essere fortemente attenzionata anche perché non dobbiamo dimenticarci che quella Legge 22 che ha riconosciuto finalmente il biologico italiano (se pensiamo ai cugini francesi che lo hanno già fatto piu di quindici anni fa  con il marchio AB) da la possibilità in tre famigerati articoli di conferire ad una sola organizzazione agricola la rappresentanza politico -sindacale e quindi economica di tutto il settore del biologico.(nota 4)

Ora rimane l’ultimo capitolo di questa “saga”: quello inserito all’ultimo momento e voluto dal solito ignoto nella promulgazione della Legge 22/23 e che riguarda la certificazione. Anche qui le premesse non sono delle più allegre se si pensa di poter introdurre la norma del residuo zero e di applicare sanzioni oltremodo onerose e penalizzanti per tutto il settore.

In un periodo in cui il commercio internazionale è caratterizzato da guerre commerciali a suon di dazi e, talvolta, anche peggio (guerre e cambiamenti climatici), il biologico non sente  proprio la necessità di nuove barriere non tariffarie  ( per essere teneri) se ancora si crede veramente agli obiettivi preposti del 25 % di SAU entro il 2030, ma ancora di più se vogliamo , per chi ci crede ancora, che un nuovo modello di mondo sia possibile.

Nota 1) L’operatore cedente deve inserire, entro 15 giorni dalla cessione le seguenti informazioni: CUAA o CF dell’operatore, anno di riferimento, codice della nomenclatura combinata del prodotto, lotto di produzione, prodotto bio o in conversione, acquisto o cessione, quantità in kg, CUAA o CF dell’acquirente, data dell’operazioni e documenti allegati (ddt o fattura accompagnatoria). L’acquirente o cessionario deve validare l’operazione entro 15 giorni dalla stessa e tutti questi dati possono essere inseriti da un soggetto delegato fra cui rientrano i CAA, i liberi professionisti o studi tecnici delegati.

BioTrac produce un codice univoco e/o un QR Code che viene apposto sull’etichetta dei prodotti o sui documenti commerciali per i prodotti sfusi o semilavorati. Nel caso in cui la cessione avvenga verso un operatore estero la validazione avviene a cura dell’operatore cedente.

Nota 2) inoltre, siamo in un sistema certificato in cui ogni operatore o gruppo di operatori è verificato e valutato da un organismo terzo che negli anni ha dato prova di efficacia; a questo proposito è sufficiente il basso livello di non conformità e di difettosità del sistema bio che è ben inferiore rispetto ad altri sistemi di produzione. Per quale motivo continuare a dubitare di un sistema al cui vertice sta l’Autorità Competente?

Nota 3)  Cerealicoltura e Colture Industriali, Genomica e Bioinformatica, Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari, Orticoltura e Florovivaismo, Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, Politiche e Bioeconomia, Viticoltura ed Enologia sotto il coordinamento dell’Area Sementi del Centro di ricerca Difesa e Certificazione.

Nota 4) Art14  “Organizzazioni interprofessionali nella filiera biologica” della Legge 22

Al punto5 il riconoscimento da parte del Ministero di una sola O.I. nazionale in funzione della maggiore rappresentanza, è più di una concreta possibilità di vedere la nascita di un vero e proprio monopolio da parte di una sola organizzazione ( vedi la quota delle attività economiche che viene fissata del 30%) e questo  con grave danno per le piccole e medie aziende escluse  come poi vediamo  ancor meglio puntualizzato al punto 8 e in conseguenza ai punti 9,10,11.

A  suo tempo la nostra proposta presentata al Senato il 26 marzo 2021 sulle correzioni da opporre alla proposta di legge  988 è stata quella di rivedere il punto 5 per poi cassare i punti dall’8 al 11 estremamente vessatori nei confronti del diritto a produrre e vendere da parte dell’agricoltore e che va contro anche a quanto è stato riconosciuto dallo stesso Consiglio dell’ONU che il 18 /10/2018 ha sancito e adottato la Dichiarazione per i diritti dei contadini e dei lavoratori nel contesto rurale.

Firenze 25 settembre 2025

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